La gestione fiscale dell’invio all’estero di dipendenti è fortemente condizionata da 2 fattori:
Relativamente alla prima tematica, in base all’art. 2, comma 2 del TUIR, si considerano fiscalmente residenti in Italia le persone che per la maggior parte del periodo di imposta (almeno 183 giorni):
Queste condizioni sono tra loro alternative.
L’elemento più complesso da valutare è, senza dubbio, il domicilio, definito come centro degli interessi vitali (personali, familiari ed economici).
Nei casi di invio all’estero però, l’analisi sulla residenza fiscale deve essere effettuata anche nell’altro Paese e, in caso di conflitto, anche ai sensi della convenzione in vigore tra i 2 Paesi coinvolti.
L’art. 4 di tali convenzioni, infatti, stabilisce i criteri per individuare la residenza fiscale in caso di lavoratore residente in entrambi Paesi in applicazione delle normative “domestiche”.
Definire la residenza fiscale è fondamentale perché un soggetto fiscalmente residente in Italia è ivi tassato sui redditi ovunque prodotti (worldwide taxation principle), pertanto il reddito da lavoro dipendente relativo all’attività lavorativa svolta all’estero, viene assoggettato a tassazione anche in Italia.
Al contrario, un soggetto fiscalmente non residente è tassabile in Italia sono sui redditi ivi prodotti, per cui se lavora all’estero è esentato da tassazione in Italia sul reddito da lavoro dipendente.
Relativamente, invece, alla modalità di invio all’estero, quest’ultima condiziona la definizione del reddito imponibile, come meglio dettagliato di seguito:
Un approfondimento specifico è necessario in merito al citato comma 8-bis, applicabile nel caso di lavoratore fiscalmente residente in Italia, che svolga la propria attività all’estero, in via continuativa ed esclusiva per più di 183 giorni nell’arco di 12 mesi.
Come più volte chiarito dall’Agenzia delle Entrate, in tale ipotesi il datore di lavoro deve stipulare “uno specifico contratto che preveda l’esecuzione della prestazione in via esclusiva all’estero e che il dipendente venga collocato in uno speciale ruolo estero”. Relativamente ai requisiti di continuità ed esclusività del rapporto di lavoro, si considerano soddisfatti, quando il lavoratore svolge un incarico stabile, ossia non occasionale e l’attività lavorativa estera è l’unica attività che svolge l’individuo, non essendo accessoria o strumentale ad altre mansioni.
Poiché le retribuzioni convenzionali trovano la loro genesi in ambito previdenziale (per il lavoro svolto in Paesi non convenzionati) è stato l’INPS, di concerto con il Ministero del Lavoro, a dettare le regole per l’individuazione della corretta retribuzione convenzionale applicabile. In particolare, “per i lavoratori per i quali sono previste fasce di retribuzione, la retribuzione convenzionale imponibile è determinata sulla base del raffronto con la fascia di retribuzione nazionale corrispondente. Come previsto dalla Circ. INPS 72/1990, quando le retribuzioni convenzionali trovavano applicazione solo in ambito previdenziale, poi esteso in materia fiscale dal D.M. 14 gennaio 2015, art. 2. Per “retribuzione nazionale” si intende quanto previsto dal contratto collettivo, con l’integrazione di quanto riconosciuto per accordo tra le parti, inclusi bonus e scatti d’anzianità, con esclusione delle somme specificamente erogate in relazione al lavoro all’estero.
L’importo derivante deve essere diviso per dodici e confrontato con la fascia retributiva definita dalle tabelle ministeriali pubblicate ogni anno dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, in funzione dell’inquadramento dell’azienda e della qualifica del lavoratore.
Tale retribuzione convenzionale è onnicomprensiva e deve essere rivista in corso d’anno in caso di erogazione di compensi variabili.
Nel caso di mantenimento della residenza fiscale in Italia con attività lavorativa svolta all’estero, il relativo reddito da lavoro dipendente viene assoggettato a tassazione sia in Italia (in base al principio di tassazione worldwide), sia nel paese di destinazione (sulla base del principio di territorialità). Al fine di eliminare/ridurre tale doppia tassazione, sono possibili due strade alternative, previste dalle convenzioni per evitare le doppie imposizioni:
a) Esenzione del reddito nel Paese di non residenza se:
Tali requisiti devono essere contemporaneamente verificati. In caso contrario il Paese di non residenza provvede a tassare il reddito da lavoro dipendente e occorrerà attivarsi in Italia per l’ottenimento di un credito per la doppia tassazione, come previsto dall’art. 165 del TUIR che consente di scomputare dalle imposte dovute in Italia sui redditi esteri, le imposte pagate su tali redditi nello Stato estero.
Tale credito deve essere calcolato nel rispetto delle regole previste dal citato art. 165 (“se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi prodotti all’estero, le imposte ivi pagate a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione dall’imposta netta dovuta fino alla concorrenza della quota d’imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero ed il reddito complessivo”).
Inoltre, “nel caso in cui il reddito prodotto all’estero concorra parzialmente alla formazione del reddito complessivo, anche l’imposta estera va ridotta in misura corrispondente”.
Le tre condizioni per poter procedere al recupero del credito d’imposta, quindi possono essere così sintetizzate:
Il credito così calcolato potrà essere richiesto alternativamente: